Questo interessante articolo serve per capire le origini di questo genere fotografico e del perchè
il nome street con il tempo ha inglobato molteplici significati.
FOTOGRAFIA: la storia della street photography, parte I
Posted on 19/04/2015 by
Alessandro Cani in
Storia della fotografia // 0 Comments
La
Street Photography è un genere fotografico che ha per soggetto le relazioni sociali (o le tracce di queste) nelle strade, nei luoghi pubblici adiacenti a queste (uffici, attività commerciali) e sui mezzi di trasporto. I canoni del genere sono ampiamente codificati nella storia della Fotografia e molti grandi fotografi ne hanno fatto la loro specialità. La categorizzazione riguarda unicamente la rappresentazione del tipo di ambiente, gli oggetti e i soggetti che lo popolano, non le finalità o particolari tecniche di scatto né tantomeno particolari estetiche, sebbene in determinati periodi ci siano stati elementi predominanti in tal senso.
Nei primi anni del Novecento il fotografo di strada era l’ambulante che si piazzava in Times Square o Piccadilly Cyrcus e scattava foto ai passanti dietro compenso (una sorta di cabina per fototessere ante litteram). La definizione di Street Photography è cambiata più volte nel corso della storia della Fotografia. Nasce infatti come sottogenere della
Fotografia Documentaria, al pari del
Fotogiornalismo e del
Reportage, (e spesso vi confluisce) ma a differenza di questi non necessariamente i singoli scatti devono contenere un fatto di cronaca o una disamina di tipo sociale, potendo poggiarsi in parte o unicamente sull’espressione artistica o sull’emotività dei contenuti, pur mantenendo comunque un grado di figuratività molto alto.
La strada diventa
tòpos fotografico sin dagli esordi della storia del mezzo. Una delle vedute di strada più famose,
Boulevard du Temple, scattata da
Jacques Daguerre nel 1838, mostra la prima rappresentazione di figura umana. La lentezza dei primi supporti impressionabili e delle prime ottiche non permetteva di registrare soggetti in movimento; in quel caso il dagherrotipo di Daguerre registrò un uomo fermo davanti al banchetto di un lustrascarpe. Pochi anni dopo, sempre a Parigi,
Charles Nègre, pittore fotografo, produsse scatti che ancora oggi appaiono schietti e spontanei, nonostante i suoi soggetti fossero posati ad arte per simulare l’istantanea che ancora la tecnologia del tempo non poteva permettere.
Nella seconda metà dell’Ottocento la strada divenne soggetto delle opere degli impressionisti, che introdussero nelle loro composizioni i nuovi elementi della modernità caratterizzanti il paesaggio urbano. Già la pittura romantica aveva sdoganato la rappresentazione di scene di vita ordinaria, come il lavoro nei campi. Pittori come
Manet e
Caillebotte dipinsero ‘
en plein air’ scene di strada molto simili a degli
snapshot. L’immediatezza del mezzo fotografico costringeva a un’impostazione meno progettuale e spesso le composizioni urbane più riuscite contenevano elementi fuori dall’ordinario: espressioni particolarmente intense, soggetti molto (o per nulla) fotogenici, situazioni connotate da una forte carica emotiva, sia drammatiche che comiche, o anche forti contrasti tra due o più di questi elementi.
Con i progressi tecnologici i tempi di scatto diminuirono notevolmente. Negli anni Settanta dell’Ottocento si sviluppò la cosiddetta
Concerned Photography, fotografia impegnata nel sociale, a servizio delle amministrazioni pubbliche (per documentare gli interventi in questo campo) o della stampa privata, per denunciare situazioni problematiche. Nel primo caso
Thomas Annan fotografò, nel 1868, i vicoli di Glasgow in vista della demolizione delle strutture fatiscenti in cui la classe operaia viveva, per conto della società che doveva assicurare i lavori. Nel secondo caso, nel 1877,
John Thomsonraccontò la vita nelle strade di Londra raccogliendo in un libro gli scatti raffiguranti lavoratori, passanti e mendicanti. Anche in questo caso si trattò di foto posate. Già nel 1887
Jakob Riis fotografò le strade e i sottani di New York con l’ausilio del flash al magnesio.
Negli anni Ottanta dell’Ottocento uscirono sul mercato le prime fotocamere portatili. La
Anschutz, prima fotocamera a vocazione reportagistica, permetteva, grazie al nuovo otturatore a tendina e in condizioni di luce ideali, tempi di scatto intorno al millesimo di secondo. L’inglese
Paul Martin fu il primo a scattare gli
snapshot (istantanee), scatti presi al volo per documentare l’azione senza mettere in posa i soggetti. Nacque così anche il genere della
Candid Photography, in cui si producevano istantanee aventi per soggetto persone ignare di essere riprese.
Il Fotogiornalismo moderno nacque con la
Graflex camera.
Lewis Hine, un altro reporter socialmente impegnato nella New York dei primi del Novecento, la utilizzò per ritrarre i lavoratori e gli immigrati. Dotata di un sistema di mirino a pozzetto (precursore delle successive Rolleiflex e Hasselblad), conferiva ai soggetti ravvicinati che venivano inquadrati dal basso verso l’alto un aspetto quasi eroico. I ritratti di strada di Hine erano contestualizzati: c’era sempre un rapporto evidente e significativo tra il soggetto e l’ambiente.
George Eastman produsse le prime pellicole in rullo e pochi anni più tardi lanciò sul mercato la
Kodak Brownie. La prima camera ‘
point and shoot’ (punta e scatta) poteva essere usata anche da un bambino, e fu proprio un bambino di otto anni,
Henri Lartigue, che avendola ricevuta in dono, documentò la vita della sua famiglia, nel privato delle mura domestiche ma anche nel pubblico, inaugurando così la cosiddetta
Fotografia Vernacolare. Il suo lavoro fu scoperto negli anni Settanta dal curatore del MOMA John Szarkowski.
Il fotografo parigino
Eugene Atget fotografò gli scorci urbani di Parigi per circa trent’anni, a cavallo del 1900. Nelle sue inquadrature, di tipo prevalentemente architettonico, raramente incluse le persone, ma con la sua opera gettò le basi per tutti gli street photographers di lì a venire. Atget mantenne un approccio molto rigido (usava un pesante banco ottico, già vetusto per i suoi tempi) e classificò i suoi scatti secondo tipologie ben precise. Sebbene questi fossero tecnicamente delle nature morte, l’assenza-presenza dell’uomo è ancora oggi percepibilissima.
Nello stesso periodo (e sino agli anni Venti del Novecento) il fenomeno del
Pittorialismo imperò tra i fotografi con smanie artistiche. La strada e lo scorcio urbano erano tra i soggetti preferiti dai pittorialisti che trattavano le loro composizioni con sfocature, mossi, interventi in punta di carboncino e gessetti in fase di stampa.
Alfred Stieglitz, promotore della
Photo-Secession, pose fine al movimento e gettò le basi, assieme ad altri fotografi come
Paul Strand e
Edward Steichen, per l’avvento della
Straight Photography. Questa fu presto esportata nella vecchia Europa, anche grazie alle avanguardie artistiche della
Nuova Oggettività. L’americano
Walker Evans fu il massimo esponente del genere, caratterizzato dall’esaltazione della nitidezza e della verosimiglianza. L’approccio era decisamente documentaristico, con inquadrature pulite, frontali e ricche di dettagli. La composizione rispettava un equilibrio pittorico quasi accademico, come lo stesso Evans ammise. La Street americana manterrà sempre nel suo DNA, rispetto a quella europea, un taglio più distaccato e anche più cinico.
©Alessandro Cani 2015